La fotografia di architettura ha la singolare caratteristica di adeguarsi stilisticamente ai suoi soggetti come hanno dimostrato, per fare solo qualche esempio, i Fratelli Alinari quando si sono confrontati con monumenti ed edifici storici, Bernd e Hilla Becher con gli stabili industriali, Gabriele Basilico con i fabbricati contemporanei. Si tratta di un’evoluzione del gusto estetico che ha anche suggerito un preciso percorso iniziato con la necessità di documentare la realtà nel modo più dettagliato possibile, per poi lasciare sempre più spazio all’interpretazione che l’estro del fotografo suggeriva. I due aspetti non sono antitetici perché obbediscono a esigenze diverse (classificatoria l’una, espressiva l’altra) accomunate però dall’identico interesse per la capacità dell’uomo di trasformare le costruzioni in elementi dotati di un segno artistico.
Santo Fraschilla affronta il tema con una ricerca fortemente contemporanea la cui originalità consiste nell’isolare alcuni particolari caratteristici della più ardita architettura contemporanea per trasformarli in elementi puramente geometrici. Ovviamente su questa scelta ha contribuito la sua formazione di matematico – lo si intuisce dalla capacità di trasformare segni che altrimenti sarebbero non immediatamente percepibili in forme di grande impatto – che gli consente di realizzare un progetto di estrema pulizia formale. L’autore intende stabilire con chi osserva le sue immagini un rapporto di sottintesa complicità: non gli interessa suggerire e tantomeno indicare dove si trovano i soggetti che insegue con obiettivi che creano tagli decisi e secchi. Preferisce, al contrario, che il risultato finale sembri frutto di un’indagine realizzata non più in città ma in un solo ideale spazio architettonico dove tutte le idee e tutti i progetti si siano offerti alla sua visione. Il bianconero permette a Santo Fraschilla di sottolineare la forza di questi che sono sì frammenti di una realtà più complessa ma che nelle fotografie assumono una loro fortissima autonomia espressiva. Ogni tanto un balcone, un lampione, un profilo indicano le possibilità di riconoscere l’identità di una costruzione ma poi lo sguardo preferisce abbandonarsi, lasciarsi sorprendere dai rispecchiamenti creati dai dittici, inseguire le prospettive più ardite, soffermarsi sulle linee che non sembrano definire le costruzioni ma scorrere taglienti come se fossero state disegnate nel vuoto.
Roberto Mutti